Fuori dal sistema solare

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aralelex
00venerdì 8 giugno 2007 13:56
Un interessante articolo su un oggetto cascato circa 12.900 anni orsono in canada?

www.sciencenews.org/articles/20070602/fob1.asp
aralelex
00mercoledì 8 agosto 2007 11:19
Ancora un altro pianetucolo
www.scientificblogging.com/news/discovery_tres_4_a_new_extrasolar_planet_in_the_constellation_of_...

news.bbc.co.uk/2/hi/science/nature/6934603.stm


I francesi addirittura lo definiscono il più grande pianeta conosciuto:

www.tsr.ch/tsr/index.html?siteSect=200001&sid=8087964

Questa è una simulazione fatta dalla Nasa, una sorta di approssimazione. La densità quasi gassosa di questo pianeta è tale da lasciare una sorta di alone visibile nello spazio, ovviamente per quelli che ci riescono a guardarlo da vicino.




Novità et ancora novità (questo è un adattamento fantasioso alla storia vera) spooffano!!!!
www.thespoof.com/news/spoof.cfm?headline=s5i22902
sev7n
00venerdì 10 agosto 2007 00:27
Questa cartella ci voleva proprio, bravo Ara [SM=g27811]
La inauguro con questa news che avrei associato di piu' al discorso "Nibiru"; Ma in mancanza di prove tangibili e' giusto postarla qua, (anche se l’Hobby-Eberly Telescope secondo me cerca altro)

Un pianeta per la gigante rossa

A 300 anni luce dalla Terra, in direzione della costellazione di Perseo, c’è un pianeta il cui anno dura più o meno quanto il nostro. Ma non facciamoci illusioni, questo pianeta non orbita intorno a una stella accogliente come il nostro Sole e dunque il suo cammino non è altrettanto gradevole quanto quello della Terra. La stella in questione, infatti, è una gigante rossa, un astro dotato di massa doppia di quella del nostro Sole e che si è ormai gonfiato a dismisura, raggiungendo dimensioni dieci volte superiori a quelle della nostra stella.

La scoperta, opera del team guidato da Alex Wolszczan (Pennsylvania State University) e il cui resoconto verrà pubblicato in novembre su Astrophysical Journal, è il primo frutto di un progetto di ricerca che vede impegnato l’Hobby-Eberly Telescope, il mastodontico strumento che opera presso il McDonald Observatory (Texas Occidentale). L’obiettivo della ricerca, un progetto iniziato tre anni fa, è l’individuazione di pianeti di massa simile a quella di Giove orbitanti intorno a stelle giganti rosse. Si tratta dunque di scrutare astri generalmente più distanti delle stelle che di solito sono coinvolte nella ricerca dei pianeti extrasolari ed è per questo che gli oltre 9 metri di apertura del telescopio texano (garantiti dai 91 segmenti esagonali che compongono il suo specchio principale) fanno davvero comodo agli astronomi.

“In questi tre anni di sistematica osservazione - spiega Wolszczan - si sono raccolti dati riguardanti oltre 300 stelle e finalmente ora possiamo cominciare a identificare quelle che potrebbero essere ottime candidate a ospitare un sistema planetario.” Ma perchè scrutare le giganti rosse alla ricerca di pianeti? Un primo motivo è quello di saperne di più su quanto potrà capitare al nostro Sistema solare quando anche il Sole, tra circa 5 miliardi di anni, diventerà una gigante rossa. Accanto a questo, poi, vi è la necessità di comprendere come l’evoluzione di una stella possa influenzare i sistemi planetari che la accompagnano.

Un aspetto fondamentale nello studio di questi processi evolutivi è senza dubbio quello di riuscire a comprendere in quale maniera, non appena la superficie della stella comincia a ingrandirsi, la cosiddetta “zona di abitabilità” migri verso le regioni più esterne. Nel nostro Sistema solare questo potrebbe comportare che mondi oggi ghiacciati - Europa, il satellite di Giove, è l’esempio più gettonato - possano in un lontano futuro risultare perfettamente compatibili con la presenza della vita.

Ben vengano allora le scoperte di pianeti intorno alle giganti rosse. Per una volta, almeno, gli astronomi potrebbero, anzichè scrutare nelle profondità del passato, gustare un assaggio di ciò che potrebbe riservarci il futuro.

www.astronomia.com/2007/08/09/un-pianeta-per-la-gigant...
sev7n
00lunedì 20 agosto 2007 21:59
L’esopianeta più grande

Si chiama TrES-4 e per le sue dimensioni, maggiori di quelle di Giove di circa il 70%, è il più grande esopianeta conosciuto. E’ stato scoperto nella costellazione di Ercole da un gruppo internazionale di astronomi, coordinati da Georgi Mandushev (Lowell Observatory), che hanno individuato il debole abbassamento di luminosità della stella intorno alla quale orbita.

Il metodo, detto dei transiti, è piuttosto comune nella ricerca dei pianeti extrasolari e praticamente consiste nell’osservazione di una eclisse parziale, con il pianeta che intercetta una piccola parte del flusso luminoso della sua stella. Metodo comune, ma che richiede lunghe e minuziose osservazioni, dato che la diminuzione della luce stellare è davvero piccola. Nel caso di TrES-4, per esempio, il transito del pianeta blocca solamente l’uno per cento della luce della stella.

Oltre a fregiarsi, almeno finora, del titolo di pianeta più grande, TrES-4 ha nel suo curriculum anche altre particolarità davvero curiose. Tanto per cominciare, visto che orbita a poco più di 7 milioni di chilometri dal suo sole (impiegando solo tre giorni e mezzo per compiere un giro completo), la sua temperatura è veramente torrida: circa 1300 gradi centigradi. Ma quello che più stupisce è la sua densità incredibilmente bassa: solamente 0,2 grammi per centimetro cubo. Un parametro che rende TrES-4 un arduo problema astrofisico, dato che tale caratteristica non rientra per nulla negli standard previsti dagli attuali modelli di pianeti giganti surriscaldati. Sulla Terra, tanto per fare un confronto familiare, una simile densità caratterizza legname particolarmente leggero, quale la balsa o il sughero.

Un pianeta così curioso non poteva orbitare intorno a una stella normale. E’ vero che la stella che lo ospita ha più o meno l’età del nostro Sole, ma, avendo massa maggiore, si trova in una fase evolutiva più avanzata. Ha cioè iniziato la fase che gli astronomi chiamano di subgigante, cioè quella fase che precede di poco la fase di gigante caratterizzata dal drammatico aumento delle dimensioni stellari.

Quando questo avverrà, per TrES-4 ci sarà davvero poco da fare e sarà ingurgitato senza pietà dalla sua stella.

Fonte: Coelum

www.astronomia.com/2007/08/19/lesopianeta-piu-grande/
sev7n
00sabato 29 settembre 2007 19:41
Una galassia stranamente piatta



La nostra galassia non è poi così insignificante. Forse non sarà la più grande del gruppo locale - il primato pare spetti alla galassia di Andromeda - ma anche la Via Lattea ha la sua importanza, confermata dalla presenza di numerose galassie satellite che le orbitano attorno. Tra le ultime ad aggiungersi all’elenco vi è anche la galassia nana di Ercole, un agglomerato stellare posto a 430 mila anni luce di distanza.

Queste galassie satellite, ovviamente, hanno massa e dimensioni di gran lunga inferiori rispetto a quelle della galassia che le governa - la popolazione di stelle della galassia nana di Ercole, per esempio, è dieci milioni di volte inferiore a quella della Via Lattea - e non possono certo permettersi di esibire appariscenti strutture a disco nè sfarzosi bracci di spirale. Insomma, a meno che non sia in atto qualche strano meccanismo, le galassie satelliti - siano esse della Via Lattea o di qualunque altra galassia nell’universo - hanno generalmente una forma all’incirca sferica.

La galassia nana di Ercole, però, non ne vuol sapere di adeguarsi a questa regola generale e si candida ad essere la prima galassia satellite caratterizzata da una anomala forma allungata. La scoperta della strana forma di questa galassia è stata effettuata grazie all’impiego di uno tra i più grandi telescopi al mondo, il Large Binocular Telescope (LBT). Questo innovativo telescopio costruito sulla cima del monte Graham in Arizona è praticamente un gigantesco binocolo formato da due telescopi di 8,4 metri di diametro ospitati dalla stessa montatura. Combinando il segnale luminoso raccolto dai due telescopi, il LBT finisce con l’essere equivalente a un telescopio del diametro di quasi 12 metri. Se a questo aggiungiamo la superba qualità del segnale garantita dall’impiego delle ottiche adattive e un rilevatore di nuova concezione di costruzione italiana - la Large Binocular Camera - riusciamo a comprendere quali prestazioni possa fornire il LBT.

Sono state proprio queste incredibili qualità del LBT che hanno permesso agli astronomi di osservare dettagliatamente la galassia nana di Ercole e scoprire la sua strana forma sigariforme. Il primo pensiero che è venuto agli astronomi è che questa forma non sia altro che il risultato dell’azione gravitazionale della Via Lattea. Anche nel caso di un’altra galassia nana satellite - quella del Sagittario - si era notata un’analoga deformazione, ma c’è un problema: la galassia di Ercole è dieci volte più lontana di quella del Sagittario.

Stando così le cose non restano molte alternative. O siamo in presenza di una galassia davvero particolare - un caso praticamente unico - oppure la distanza della galassia di Ercole non è stata sempre quella attuale. Si potrebbe, cioè, ipotizzare che l’orbita percorsa da questa galassia satellite la porti periodicamente a transitare a breve distanza dalla Via Lattea. Sarebbero questi passaggi ravvicinati che l’avrebbero esposta alle potenti deformazioni gravitazionali causate dal centro della Via Lattea facendola diventare così appiattita.

Insomma, comunque la si consideri, questa galassia nana di Ercole è senza alcun dubbio un oggetto davvero particolare.

Fonte: Coelum

www.astronomia.com/2007/09/27/una-galassia-stranamente...
sev7n
00venerdì 5 ottobre 2007 00:18
Spazio: astrofili scoprono pianeta esterno al Sistema solare
04 ott 18:45
UDINE - Un gruppo di astrofili ha scoperto un nuovo pianeta esterno al Sistema solare, con semplici strumentazioni amatoriali. Il pianeta, chiamato HD 17156b, dista dalla Terra 255 anni luce, si trova nella costellazione Cassiopea ed e' ben visibile in queste settimane d'autunno. La notizia e' stata resa nota da Mauro Barbieri, astronomo del Laboratorio di astrofisica di Marsiglia che da anni collabora con l'Associazione friulana di Astronomia e Meteorologia (Afam) di Remanzacco, in provincia di Udine. Le osservazioni sono state condotte nella notte tra il 9 e il 10 settembre, con telescopi di diametri tra 18 e 40 centimetri e sono durate ininterrottamente per oltre 18 ore. (Agr)

www.corriere.it/ultima_ora/detail.jsp?id={344FFA4D-CA2E-4551-9C7C-FDF09...
sev7n
00mercoledì 7 novembre 2007 22:35
Ecco un altro pianeta

Scoperto un nuovo pianeta simile a Saturno

Un gruppo di ricercatori della San Francisco State University e della University of California hanno scoperto l'esistenza di un pianeta orbitante intorno a una stella molto simile al Sole, conosciuta come 55 Cancri.

Il pianeta si trova a 41 anni luce dalla Terra, nella costellazione del Cancro, appunto.
Nonostante sia nella così detta "zona abitabile", un'area orbitale in cui le condizioni consentirebbero la vita - ovvero dove l'acqua può esistere sotto forma liquida - il pianeta è, secondo i ricercatori, più vicino all'habitat di Saturno che non a quello della Terra. "Sappiamo che sistemi di pianeti simili al nostro non sono inusuali" ha confermato un membro della squadra di ricerca, Geoffrey Marcy.
Cancri 55 è una delle stelle che può contare sul maggior numero di pianeti orbitanti finora individuati. Gli studiosi erano già a conoscenza di quattro di essi, ma per confermare l'esistenza del quinto, che è grande 45 volte la Terra, ci sono voluti 18 anni. Gli esperti si aspettano di trovare sempre più numerosi cugini del sistema solare con lo sviluppo di nuove tecnologie. Il "nuovo" pianeta è composto principalmente da gas, ma Marcy conta di trovarne uno roccioso che orbiti intorno alla stessa stella entro cinque anni, ma precisa: "Non abbiamo trovato un gemello del nostro sistema solare, perché i quattro pianeti più vicini alla stella hanno la stessa dimensione di Nettuno o più grandi".

Una speranza per il possibile insediamento della vita umana nel sistema di 55 Cancri potrebbe essere l'esistenza di un'eventuale satellite roccioso orbitante intorno al nuovo pianeta. "Se ci fosse una Luna - ha confermato lo studioso - potrebbe esserci acqua in stato liquido". Per Michael Briley, un astronomo del National Science Foundation si tratta di un "eccitante passo in avanti" nella ricerca di pianeti simili al nostro.

www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/giornalisti/hrubrica.asp?ID...
sev7n
00venerdì 23 novembre 2007 00:22
Tanto per ricordarci quanto siamo piccoli

sev7n
00sabato 24 novembre 2007 00:03
Un'immensa voragine nello spazio
"E' il segno degli Universi paralleli"
"Esisterebbero una miriade di universi intorno al nostro"


di LUIGI BIGNAMI

C'E' UN'IMMENSA voragine nell'Universo. Si trova tra 6 e 10 miliardi di anni luce dalla Terra. Si tratta di un volume di spazio con un diametro di circa 900 milioni di anni luce dove il "nulla" la fa davvero da padrone. Agli strumenti che l'hanno scoperto appare come una gigantesca macchia oscura nel cielo, come se una mano smisurata avesse cancellato quasi tutti gli oggetti luminosi presenti al suo interno.

Ora un gruppo di ricercatori ha dato una spiegazione a quel fenomeno. Suona fantascientifico, ma Laura Mersini-Houghton dell'Università del North Carolina a Chapel Hill (Usa) dice proprio così: "E' l'impronta indelebile di un altro universo che sta oltre il nostro". Ma per capire questa spiegazione - apparsa su NewScientist - che potrebbe rivoluzionare tutte le idee sorte sul nostro Universo è necessario fare un passo indietro.

"Non solo non è mai stato trovato un vuoto tanto grande, ma nessuna ipotesi sulla struttura dell'Universo lo aveva previsto", aveva detto Lawrence Rudnick dell'Università del Minnesota (Usa), autore della scoperta del buco avvenuta lo scorso mese di agosto. E questo spiega il motivo per cui la sua esistenza era stata messa in luce quasi per caso.

"Era una mattina durante la quale i radiotelescopi del Vla (Very Large Array) - in grado di captare ogni più piccolo segnale radio emesso da una stella, una galassie o qualunque altro corpo celeste ancora attivo - non erano impegnati in osservazioni particolari e allora ho deciso di puntarli verso la "macchia fredda" individuata dal telescopio spaziale della Nasa Wmap (Wilkinson Microwave Anisotopy Probe)", ha spiegato Rudnick. La "macchia fredda" in questione è una misteriosa anomalia presente nella mappa della "radiazione cosmica di fondo" dell'Universo, la radiazione che permea l'intero cosmo e che viene interpretata come l'energia residua del Big Bang. Tale radiazione presenta variazioni tra un punto e l'altro che non superano lo 0,001 per cento. Ma dalla "macchia fredda" che si trova in direzione della costellazione di Eridano, non giungeva ai radiotelescopi del Vla alcun "fotone", le particelle di energia cioè, che si muovono alla velocità della luce e che solitamente sono emesse da atomi o stelle attive. Ciò stava ad indicare che l'area era totalmente vuota di materia.

Subito si sono scatenate le ipotesi per dare una spiegazione a quell'immenso buco fatto di nulla. Ipotesi che non davano pienamente ragione al fenomeno. Ora Mersini-Houghton sembra aver dato un senso ad esso interpretandolo al di fuori della cosmologia standard. La ricercatrice infatti, ha utilizzato la "teoria delle stringhe", una teoria della fisica che ipotizza che la materia, l'energia, lo spazio e il tempo siano la manifestazione di entità fisiche sottostanti, chiamate appunto le "stringhe", le quali vibrano in 10 dimensioni nello spazio-tempo e che formano le particelle subatomiche che originano gli atomi.

Secondo questa teoria non esiste un solo Universo, bensì 10 alla 500 universi (si immagini un numero composta da 1 seguito da 500 zero, un numero inimmaginabile) ognuno con proprie leggi fisiche.
Spiega Mersini-Houghton: "Quando il nostro Universo si formò doveva interagire con gli altri Universi vicini. E quel buco è proprio il risultato di quell'interazione avvenuta subito dopo la nascita del nostro Universo che da allora, per le caratteristiche che esso possiede, continuò ad espandersi. Purtroppo non ci è possibile osservare ciò che ci arriva dai confini dell'Universo, che si trova tra 42 e 156 (1) miliardi di anni luce da noi e quindi non possiamo vedere ciò che c'è oltre il buco". Ma quel buco è proprio l'impronta che un Universo diverso dal nostro ci ha lasciato all'inizio del tempo e dello spazio.

Che il buco si formò agli inizi dell'Universo è d'accordo anche Rudnick, il quale dice: "Le teorie correnti suggeriscono che tutte le strutture che oggi vediamo nell'Universo presero forma all'inizio del tempo e dello spazio. La struttura vera e propria fatta di vuoti e agglomerati di materia, poi, è cresciuta nel tempo guidata dalle forze gravitazionali".

Secondo Mersini-Houghton, tuttavia, dovrebbe esserci un altro buco simile a quello scoperto dalla parte opposta dell'Universo rispetto a quello già osservato e questo lo sapremo quando l'anno prossimo verrà lanciato un altro satellite per lo studio delle microonde dell'Universo molto più sofisticato dei precedenti, il satellite dell'Esa, Planck.

L'ipotesa dell'astrofisica è ora sotto osservazione dell'intero mondo scientifico, che al momento guarda con sospetto alla Teoria delle Stringhe. Ma se quanto ipotizzato da Mersini-Houghton non verrà smentito, dovrà iniziare la ricerca ai quasi infiniti universi che circondano il nostro.

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(1) Alcuni lettori si chiederanno come è possibile che l'Universo abbia un raggio di 42 o 156 miliardi di anni luce se è nato solo 13,7 miliardi di anni fa. La spiegazione sta nel fatto che nel tempo le misure si sono dilatate. Si perdoni la semplificazione, ma un centimetro misurato dopo pochi secondi dalla nascita dell'Universo non corrisponde ad un centimetro di oggi.

(23 novembre 2007)

www.repubblica.it/2007/11/sezioni/scienza_e_tecnologia/universo-parallelo/universo-parallelo/universo-parall...
aralelex
00sabato 24 novembre 2007 09:57
Grande articolo.....siamo in attesa.
+Vurdalak+
00giovedì 3 gennaio 2008 09:22
SCOPERTO PER LA PRIMA VOLTA UN PIANETA NEONATO



Potrebbe essere uno dei tanti pianeti esterni al Sistema Solare scoperti finora, se non ci fosse un particolare a renderlo unico: è neonato. Ad annunciare la scoperta su Nature del primo pianeta appena nato mai individuato é un gruppo di ricerca tedesco coordinato da Johny Setiawan dell'Istituto di astronomia Max Planck.

La scoperta, secondo gli autori, potrebbe aiutare a chiarire la nascita dei sistemi planetari e fornisce la prima prova concreta alla teoria secondo cui i pianeti si formano dai dischi di gas e polveri che circondano le stelle dove 'grumi' di polveri cominciano a scontrarsi e crescono di collisione in collisione fino a diventare pianeti.

A dare valore aggiunto alla scoperta é inoltre l'età della stella madre, Tw Hydrae, che con i suoi dieci milioni di anni è la più giovane 'mamma' mai individuata, il Sole in confronto ha cinque miliardi di anni e i pianeti extrasolari, finora, erano stati scoperti solo intorno a stelle di circa 100 milioni di anni e oltre. Questo dato, sottolinea lo studio, dimostrerebbe che i pianeti cominciano a formarsi molto presto. La stella, grande all'incirca come il Sole, è una nostra vicina, si trova infatti nella costellazione dell'Idra, a 'soli' 182 anni luce. Già era noto il disco proto-planetario che circonda Tw Hydrae.

Ora, grazie a nuove informazioni acquisite con il telescopio La Silla dell'European Southern Observatory (Eso) e dell'Istituto Max Planck, i ricercatori hanno determinato con molta precisione le variazioni della velocità radiale della stella, ovvero la velocità di una stella nella direzione della linea di vista. Una tecnica utilizzata spesso per cercare pianeti extrasolari e che in questo caso indicherebbe la presenza di un pianeta gigante, fino a nove volte la massa di Giove, immerso ancora nelle polveri che cingono la stella e che ruoterebbe in soli 3,5 intorno alla sua 'mamma' dalla quale disterebbe pochissimo, soli tre milioni di chilometri (in confronto la Terra dista dal Sole circa 146 milioni di chilometri).

www.ansa.it/opencms/export/site/notizie/rubriche/daassociare/visualizza_new.html_16274...
sev7n
00giovedì 3 gennaio 2008 11:03
Una strana esplosione

La vicenda inizia il 25 gennaio 2007, quando l’osservatorio spaziale Swift individua un lampo gamma (battezzato GRB 070125) nella costellazione dei Gemelli. Si rivela uno dei lampi più brillanti degli ultimi tempi e subito i telescopi da terra vengono puntati in direzione del GRB. Il giorno successivo alla scoperta, il Palomar Robotic telescope scorge il brillante afterglow del lampo gamma in luce visibile e permette ai ricercatori di verificarne la rapida dissolvenza.

Alla ricerca di maggiori dettagli, vengono a quel punto scomodati sia il Gemini Nord sia il Kek I. Contrariamente a quanto avviene di solito, però, gli spettri mostrano che lungo il suo cammino il lampo gamma non ha praticamente incontrato nubi di gas o polveri in grado di assorbire la sua luce. Gli stessi spettri, inoltre, mostrano chiaramente che il GRB si colloca a oltre 9,4 miliardi di anni luce.

Il bello, però, viene a metà febbraio, quando vengono acquisite nuove immagini dal Keck I dopo che ormai era completamente svanita ogni traccia del GRB. Con grande meraviglia degli astronomi, in corrispondenza del GRB non c’è alcuna galassia nè alcun sistema stellare: il lampo sembra essersi originato dal nulla. La galassia più vicina, infatti, dista oltre 88 mila anni luce e non si può certamente pensare che le ottiche del Keck I non siano all’altezza del compito.

Se il lampo gamma deriva - come sembra più probabile, almeno stando ai modelli correnti - dalla violenta esplosione di una stella massiccia, non si riesce a comprendere come un simile oggetto possa trovarsi così lontano da ogni sistema stellare. L’unica spiegazione possibile è quella di chiamare in causa l’interazione tra due galassie e il rimescolamento dinamico che tale interazione comporta. Un simile scenario può rendere ragione sia della nascita di stelle anche massicce sia del loro apparente isolamento: le code di marea associate alle interazioni tra galassie, infatti, si possono espandere molto distante dalle galassie che interagiscono e nello stesso tempo sono ambienti favorevoli alla formazione stellare.

La conferma definitiva potrà venire da immagini ancora più profonde - dovrà scendere in campo il telescopio spaziale Hubble - che potranno permettere di individuare la presenza di quella coda mareale che ha ospitato GRB 070125. Se anche questo tentativo fallirà, beh, ci sarà un bel daffare per i teorici.

www.astronomia.com/2008/01/03/una-strana-esplosione/

+Vurdalak+
00venerdì 4 gennaio 2008 12:11
IN UNIVERSO LA MATERIA FORMA UN'IMMENSA RAGNATELA



Nell'universo, la materia visibile e oscura è distribuita in modo tale da formare un'immensa ragnatela dove la materia fluisce come in un fiume: è quanto confermano tre lavori internazionali pubblicati su Science che analizzano la recentissima teoria chiamata "cosmic web".

Agli studi, cui la rivista americana dedica la copertina, ha partecipato anche l'italiano Fabrizio Nicastro, dell' Osservatorio Astronomico di Roma-Istituto nazionale di astrofisica (Inaf). "Analizzando la distribuzione della materia nell'universo vicino, attraverso simulazioni, abbiamo visto che la materia scorre in rivoli caldi che si formano a causa degli effetti gravitazionali della materia oscura, che secondo le teorie occuperebbe il 95% dell'universo" ha spiegato Nicastro. "I rivoli sono collegati - ha proseguito - e dove la materia è più rarefatta i filamenti sono più allungati, dove vi sono più alte concentrazioni, come nel caso delle galassie, si formano dei nodi".

Quella della cosmic web è una teoria nata di recente che conta però già una priva evidenza sperimentale: elaborando dati acquisiti grazie agli osservatori a raggi X, Chandra e XMM-Newton, Nicastro ha descritto su Science filamenti chiamati "warm-hot intergalactic matter". "Queste strutture - ha detto - potrebbero anche essere la chiave della cosiddetta materia perdura, ovvero quella parte di materia visibile, circa il 2,5% del 5% della materia ordinaria totale che secondo i modelli cosmologici manca". I filamenti, secondo il ricercatore, sarebbero costituiti da materia oscura e da materia ordinaria, gas che si sarebbe scaldato fino a temperature dell'ordine dei milioni di gradi a causa degli shock occorsi durante il suo collasso verso strutture come gli ammassi e i superammassi di galassie. Per confermare definitivamente queste evidenze, ha concluso Nicastro, bisognerà aspettare gli strumenti più sensibili che saranno a bordo dei satelliti per astronomia a raggi X in preparazione sia da parte della Nasa sia dell'Esa.


www.ansa.it/opencms/export/site/notizie/rubriche/daassociare/visualizza_new.html_16190...
sev7n
00martedì 22 gennaio 2008 09:40
Una Nuova Terra ?

Trovata a 20 anni luce di distanza: la Nuova Terra


www.altrogiornale.org/news.php?extend.1692
ale027
00giovedì 21 febbraio 2008 12:39
WASHINGTON, Stati Uniti -- Nella Via Lattea ci sono almeno 12 miliardi di pianeti simili alla Terra. E' quanto si evince da una ricerca condotta dagli astronomi americani usando il telescopio della Nasa Spitzer. I pianeti che potrebbero ospitare la vita come noi la conosciamo, potrebbero essere molti. Molti di più di quelli finora ipotizzati
http://www.scienze.tv/node/2887
aralelex
00giovedì 21 febbraio 2008 13:57
Re:
ale027, 21/02/2008 12.39:

WASHINGTON, Stati Uniti -- Nella Via Lattea ci sono almeno 12 miliardi di pianeti simili alla Terra. E' quanto si evince da una ricerca condotta dagli astronomi americani usando il telescopio della Nasa Spitzer. I pianeti che potrebbero ospitare la vita come noi la conosciamo, potrebbero essere molti. Molti di più di quelli finora ipotizzati
http://www.scienze.tv/node/2887




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