Non per fare il polemico ma basta alla pedofilia,basta anche all'estremismo religioso qualunque esso sia .....
Il caso Per anni alcuni bambini subiscono abusi fisici e psicologici da parte di un prete in una parrocchia in provincia di Firenze. Da adulti si uniscono per denunciare l'accaduto e, dopo una "sentenza" beffa della Chiesa, minacciano una battaglia legale
Nei giorni di Pasqua e nel pieno delle polemiche su Pacs, Dico e sul ruolo della Chiesa in relazione alla famiglia italiana, un macigno si abbatte sul mondo ecclesiastico dopo l'ennesimo scandalo relativo ad una sentenza emessa dalla assemblea diocesana per il caso di don Cantini, un parroco operante in provincia di Firenze che deve rispondere di atti gravissimi ai danni di alcuni fedeli. Ragazze e ragazzi tra i dieci ed i dodici anni che, dalla metà degli anni settanta fino al 1985, hanno subito costanti violenze fisiche e psicologiche: un vero e proprio plagio iniziato in età talmente acerba da precludere a molte delle vittime una riflessione lucida e consapevole su quegli strani "rituali" attraverso i quali, assicurava il parroco, "si sarebbe realizzata la più piena comunione eucaristica". E dei quali era proibito riferire all'esterno e specialmente in famiglia, pena la dannazione eterna e l'allontanamento dalla parrocchia. Una ragazza vive la sua adolescenza convinta che quella "completa comunione con Dio" offerta dal parroco sotto forma di atti sessuali ripetuti (ed iniziata a 12 anni) fosse necessaria in quanto lei, diceva Cantini, "era la prescelta come la Madonna, che aveva avuto Gesù a dodici anni". La motivazione non le preclude continui conati e attacchi di vomito al solo pensiero dell'accaduto, ma basta a creare un blocco che la ragazza supererà soltanto dopo molti anni di terapia. La sua storia ricalca quella di molte altre vittime. I ‘prescelti' venivano solitamente designati da una perpetua ribattezzata per le occasioni "veggente", che fino a poco tempo fa viveva ancora con don Lelio Cantini.
Le vittime degli abusi, dopo anni di rimozioni e duri percorsi terapeutici, decidono nel 2004 di rendere nota la storia e (spinti anche dal fatto che il parroco continui indisturbato ad operare) di rivolgersi alle autorità clericali. La Curia di Firenze riceve da allora esposti e resoconti (compresa una lettera indirizzata al Papa) ai quali fanno seguito incontri personali con le vittime che, nel settembre 2005, si vedono cadere addosso una umiliante sentenza-beffa: don Lelio Cantini viene infatti allontanato dalla città e trasferito in un'altra parrocchia della Diocesi dove incredibilmente è ancora ordinato e in grado di attrarre a se nuovi proseliti. L'iniziativa allora è presa da alcuni sacerdoti che il 13 ottobre del 2006 inviano l'ennesima lettera di denuncia direttamente al Papa attraverso la Segreteria di Stato ("Non vogliamo sentirci domani chiedere conto di un colpevole silenzio"), dove invocano tra l'altro un processo penale giudiziario. A seguito di un polverone finito su alcuni giornali e l'inevitabile meccanismo ad orologeria innescato dalle polemiche che cominciano a farsi sempre più pressanti, il 17 gennaio del 2007 il cardinale Antonelli rende noti i provvedimenti presi per il caso di don Cantini: "il priore non potrà né confessare, né celebrare messa in pubblico, né assumere incarichi ecclesiastici, e per un anno dovrà fare un'offerta caritativa e recitare ogni giorno il Salmo 51 o le litanie della Madonna". La questione, per la Chiesa Cattolica, è così risolta e sancita da rituali "no comment" dello stesso cardinale Antonelli, il quale aveva definitivamente considerato chiusa la vicenda sigillando l'accaduto con le seguenti parole: "Il male una volta compiuto non può essere annullato, ma occorre rielaborare in una prospettiva di fede la triste vicenda invocando a Dio la guarigione della memoria". Giustizia è fatta. Niente di più di un ulteriore danno psicologico per le vittime, che in questi giorni hanno inviato altre lettere annunciando ricorsi e battaglie legali.
Gli atti dovuti di una istituzione che pretende di far assurgere i suoi rappresentanti al ruolo di pastori sarebbero dovuti essere di ben altro calibro, soprattutto considerato il fatto che le vittime degli abusi questa volta sembrano ben intenzionate a non fermarsi all'assurdità di una sentenza che ritorna al mittente colpendolo in pieno volto: in primo luogo perché la leggerezza del provvedimento preso dall'assemblea diocesana e dal clero in relazione a fatti così gravi nega qualsiasi validità di un apparato giuridico di autoregolamentazione interno alla Chiesa stessa. In secondo luogo perché indice di un atteggiamento profondamente classista dell'istituzione ecclesiastica che ostenta con troppa facilità, al pari del mondo politico, la non punibilità dei suoi rappresentanti.